Non pulite, nè raschiate, nè lavate la verdura ed i legumi se non al momento di farli cocere — e allora sieno ben lavati e puliti anche in due, tre acque. I legumi freschi devono essere messi nell'acqua bollente e salata — i fagioli però ad acqua fredda e il sale a metà cottura. Sia per la loro natura coriacea, sia per la qualità d'acqua in cui si fanno bollire, che spesso contiene dei sali calcarei — talvolta i legumi assumono del ligneo e del tiglioso. Si rimedia a ciò mettendo nella pentola in cui bollono della cenere nella quantità di un ovo, chiusa in un sacchetto di tela. Oltre ad accelerarne la cottura, la cenere migliora il sapore dei legumi; l'acqua piovana, del resto, è migliore di quella del pozzo. Gli spinacci, la cicoria, gli asparagi, i fagioli devono essere cotti in molt' acqua: i secchi, messi fin dalla sera antecedente, in acqua tepida, si asciugano poi e si fanno cocere a grand'acqua, e, se volete conservar loro il color verde, non coprite la pignatta.
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asparagi, i fagioli devono essere cotti in molt' acqua: i secchi, messi fin dalla sera antecedente, in acqua tepida, si asciugano poi e si fanno
Voi direte: ma lo dicono i medici; ma sta scritto in, tanti libri; ma è credenza universale e popolare. I medici! Lasciate che dicano e disdicano — la loro dogmatica e la loro casistica è conosciuta e stravecchia. A questo mondo non vi è nulla di assoluto: tutto è relatività. Il medico vostro sia il vostro istinto naturale e se qualche cosa vi è indigesta, datene colpa alla vostra ghiottoneria, all'ingordigia vostra. Quante verdure da fanciulli ci ributtano e ci tornano poi ghiotte, in altra età! Ditemi, perchè i fanciulli amano tanto i frutti acerbi ed acidi? L'età, la complessione, il genere di vita, la temperatura, il caldo, il freddo, l'umido, il secco, anche le passioni, tutto combina a formare questa relatività che è solo giudicabile da ciascuno di noi. — Sta scritto in tanti libri! — Vi rispondo col detto di Talleyrand:
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ci ributtano e ci tornano poi ghiotte, in altra età! Ditemi, perchè i fanciulli amano tanto i frutti acerbi ed acidi? L'età, la complessione, il
Conserva d'albicocchi. — Si fanno passare allo staccio con spatola di legno. Sugo e polpa espressa, si mette in bottiglia chiusa con boni turaccioli e assicurata con cordicella, si fa bollire in bacino d'acqua per 15 o 17 minuti. Dopo si toglie il bacino dal fuoco e si lascia raffreddare l'acqua prima di togliere le bottiglie, che si conservano poi in cantina.
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prima di togliere le bottiglie, che si conservano poi in cantina.
Fra i lodatori dell'arancio è da ricordarsi il milanese Lodovico Settala, professore di medicina a Pavia, poi di filosofia morale a Milano, citato nei Promessi Sposi e del quale il Ripamonti, suo contemporaneo, dice che curava gratuitamente i poveri ed i letterati -pauperes et litteratos. Gli antichi scrittori confusero sempre l'arancio col limone e col cedro. In Roma, nel 1500, si chiamavano Melangoli. L'Ariosto nel Furioso, C. XVIII, p. 138, adopera la parola Narancio. Sulla prima vera provenienza dell'arancio ebbero molto seriamente a questionare i filosofi antichi. Alcuni, stando col re Giuba — che lasciò dei commentarii sulle cose di Libia — dicono che l'arancio, chiamato Pomo delle Esperidi, fosse portato in Grecia nientemeno che da Ercole. Difatti abbiamo statue di Ercole presso piante d'arancio e con aranci in mano. Ateneo col filosofo Teofrasto, lo fanno venire dalla Persia; il poeta Marrone, dalle Indie. Il fatto è che fu conosciuto in Europa prima del limone, e che la sua venuta rimonta a data antichissima. A coloro che dicono essere stato portato in Italia alla fine del secolo XIII da viaggiatori veneziani e genovesi, farò notare che Virgilio dice:
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Fra i lodatori dell'arancio è da ricordarsi il milanese Lodovico Settala, professore di medicina a Pavia, poi di filosofia morale a Milano, citato
Conservazione degli aranci. — Prendete sabbia finissima, asciutta, fredda, mettetene uno strato in un gran vaso di terra o di vetro — collocatevi gli aranci colla parte del gambo abbasso in modo che non si tocchino — versatevi altra sabbia.— coprite e ripetete gli strati di aranci e sabbia, poi chiudete ermeticamente e conservate in luogo fresco ed asciutto. Così gli aranci si conservano per parecchi mesi sani. Questo metodo vale anche pei limoni.
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aranci colla parte del gambo abbasso in modo che non si tocchino — versatevi altra sabbia.— coprite e ripetete gli strati di aranci e sabbia, poi
° Barbabietola alla Chartreuse. — Tagliate barbabietole gialle in rotelle, mettete sopra alla rotella di barbabietola una rotella di cipolla cruda, con un buco in mezzo, dove porrete una pestata di erbe odorifere a piacere, con spezie e sale. Poi coprite con altra rotella di barbabietola facendola aderire. Involtate in ovo e pane e fate friggere, come l'altra frittura, col burro.
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, con un buco in mezzo, dove porrete una pestata di erbe odorifere a piacere, con spezie e sale. Poi coprite con altra rotella di barbabietola facendola
I Trojani la mettevano nel vino, il che secondo loro ne aumentava il sapore e v' infondeva allegrezza ed esilarava il cuore. Apulejo scrive che i Lucani la chiamavano Coragine, perchè à gran proprietà nelle passioni del cuore, onde poi col tempo si mutò il C in B e fu detta Borragine. Marsilio Ficino assicura che l'uso dei fiori di borragine mantiene l'uomo giovine ed allegro, onde quel detto:
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Lucani la chiamavano Coragine, perchè à gran proprietà nelle passioni del cuore, onde poi col tempo si mutò il C in B e fu detta Borragine. Marsilio
Dolce di cioccolatta. —Tagliate un panetto francese in fette, bagnatele in due bicchieri di latte, e dopo due ore mettete il tutto a foco in casserola con un pezzo di burro e un terzo di tavoletta di cioccolatta, tagliata in piccoli pezzi. Fate cocere rimestando, finchè gli ingredienti siano incorporati, poi ritirata dal foco la casserola, rimestatevi dentro un pizzico di zuccaro e di vaniglia, tre rossi d'ova, e le tre chiare alla fiocca. Fate cocere a bagnomaria in stampo unto ed impanato. Si serve anche coperto di sabajone e cavollatte.
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incorporati, poi ritirata dal foco la casserola, rimestatevi dentro un pizzico di zuccaro e di vaniglia, tre rossi d'ova, e le tre chiare alla fiocca. Fate
E prima di tutto fate acquisto d' un caffè sano, di vero caffè. Se il vostro droghiere ve lo somministra buono, non cercatene nè la provenienza, nè la qualità: chiudete gli occhi, che vi ingolfereste in un mare di assurdi e di difficoltà. Non comperate mai e poi mai il caffè tostato —peggio poi quello già macinato. Tostatevelo voi, macinatevelo voi. I semi del caffè non sono altro che una sostanza legnosa che nasconde in sè tutta una ricchezza d'aroma. È quell'aroma che si vuole e si deve cavare da quei semi. E il modo di cavarlo è — la tostatura prima, la bollitura poi. Nella prima operazione, la tostatura, si deve condurre il seme allo stato di maturanza aromatica opportuno. Nella seconda, la bollitura, si segrega l'aroma, si spoglia la parte legnosa di quella sua graziosa proprietà, per dotarne l'acqua. Tutte e due queste operazioni ri-
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la qualità: chiudete gli occhi, che vi ingolfereste in un mare di assurdi e di difficoltà. Non comperate mai e poi mai il caffè tostato —peggio poi
Torta di Carote. — Mantegazza dice che se ne può fare un'ottima torta facendo cuocere le carote in acqua salata, passandole allo staccio, asciugandole alquanto in una casseruola e aggiungendo poi fecola, fior d'arancio confettato, zuccaro, ova (più tuorlo che albume) e burro. Fate cuocere in forma e servite allo zabaione.
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, asciugandole alquanto in una casseruola e aggiungendo poi fecola, fior d'arancio confettato, zuccaro, ova (più tuorlo che albume) e burro. Fate cuocere in forma
Purè di maroni o castagne. Pelate i maroni o le castagne, mettetele a scaldare nell'acqua, onde levar loro la seconda pellicola, poi fateli cocere in altr'acqua con sale, e ben cotti lasciateli asciugare e passateli al setaccio, come nel purè di patate.
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Purè di maroni o castagne. Pelate i maroni o le castagne, mettetele a scaldare nell'acqua, onde levar loro la seconda pellicola, poi fateli cocere in
Conservazione dei cornetti. — Si leva loro il filo, si scottano nell'acqua bollente con poco sale, poi si levano e si mettono in quella fredda e si fanno asciugare alla stufa o all'aria, ma all'ombra e si conservano in luogo asciutto. Bisogna sieno teneri. Si fanno poi rinverdire nell'acqua tepida e mettonsi a fuoco nell'acqua fredda.
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Conservazione dei cornetti. — Si leva loro il filo, si scottano nell'acqua bollente con poco sale, poi si levano e si mettono in quella fredda e si
Cornetti allo zabajone acido. — Cotti in acqua salata i cornetti, già rimondati, lasciateli sgocciolare su un crivello e poi disponeteli sopra un piatto. Tirate intanto a densità in una casseruola a fuoco, due tuorli d'ova, con due cucchiai di zuccaro, due gusci d' aceto e due di acqua, avvertendo che non si elevi il bollore. Versate questa specie di zabajone sui cornetti e serviteli ancor caldi.
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Cornetti allo zabajone acido. — Cotti in acqua salata i cornetti, già rimondati, lasciateli sgocciolare su un crivello e poi disponeteli sopra un
. Cioè, di bergli sopra del vino, tutto all'apposto del nostro proverbio: al fico l'acqua ed alla pera il vino. La tradizione vuole che la calata dei Normanni si debba al fico, che erano golosissimi di provarne la tanto decantata bontà. Tramanda la storia romana, che il 7 luglio, una fantesca, salita su di un fico selvatico, s'accorse che i Galli, che assediavano Roma, erano ubbriachi ed immersi nel sonno e ne avvertì i Romani, che li sorpresero e ne fecero macello. Dopo di che, in onore di Giunone, sotto le ficaie selvatiche, celebraronsi dalle schiave e dalle libere unitamente le None Caprotine, o feste delle serve. Scrive infine il Simonetta, che al suo tempo, in Padova, un garzone mangiò 40 libbre di fichi al padrone, et poi si morì ethico. Castor Durante fece un poema sul fico nel 1617. La tradizione vuole che Giuda si appiccasse ad una pianta di fico.
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Caprotine, o feste delle serve. Scrive infine il Simonetta, che al suo tempo, in Padova, un garzone mangiò 40 libbre di fichi al padrone, et poi si morì
Il finocchio è eccellente contro le flatulenze e nelle malattie di petto, è stimolante e tonico. Dioscoride ne parla a lungo. Anticamente si attribuiva al finocchio grande virtù sulla vista, e Plinio asserisce persino, che le serpi mangiandone lascino colla pelle la loro vecchiezza. I gladiatori mettevano il finocchio nelle vivande per rinforzarsi e di finocchio se ne incoronavano i vincitori. I vecchi napoletani lasciavano ogni cosa pel finocchio, onde quel verbo infinocchiare. I Latini cominciavano il pranzo coll'ovo (da ciò il proverbio ab ovo) e finivano colla mela, che poi venne surrogata dal finocchio per lasciare alito buono. Nel finocchio alligna un verme che riesce micidiale; abbiamo tuttora il proverbio a Roma: Guardati dal malocchio e dal verme del finocchio.
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finocchio, onde quel verbo infinocchiare. I Latini cominciavano il pranzo coll'ovo (da ciò il proverbio ab ovo) e finivano colla mela, che poi venne
Il paese originario del frumento, non si conosce, perchè non si è mai trovato allo stato selvaggio. Vi sono molte specie e varietà di frumento a seconda dei paesi, del clima e delle annate. Il frumento è il cereale più nobile, prezioso ed utile. È il principale cibo dell'uomo e piace a tutti gli animali. La farina del grano del frumento serve a fare il pane, le paste da minestra e da credenza, si mescola a mille manicaretti. Se ne fa colla, amido, cipria. Dal grano del frumento se ne cava birra, aqluavita, spirito. La paglia serve per foraggio alle bestie e per mille ingegnose manifatture. Da Adamo in poi, fu conosciuto da tutto il genere umano. Era dagli antichi consacrato a Cerere, da qui la parola cereale. I più grandi mercati del frumento in Europa sono nella Crimea, nell'Ungheria, nell'Olanda e ad Amburgo, in Germania. Nel linguaggio dei fiori frumento dice: Opulenza. Proverbi sul pane:
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Adamo in poi, fu conosciuto da tutto il genere umano. Era dagli antichi consacrato a Cerere, da qui la parola cereale. I più grandi mercati del
Conservazione per essiccazione. — Si mondano e tagliati a fette, si sospendono ad un filo e si mettono al sole finchè sono ben secchi, poi si conservano in luogo secco. Quando si vogliono adoperare, si mettono in acqua tepida a farli rinvenire. Talvolta si seccano semplicemente al forno dopo averli immollati in acqua calda. Impiegando il metodo della salatura, si tuffano prima nell'acqua quasi bollente, si asciugano premendoli in biancheria assorbente, si dispongono su strati, separati per strati di sale, in vasi profondi, che non siano nè di rame, nè di piombo, nè di zinco. Quando si vogliono preparare, si mettono in acqua tepida, come sopra. Si possono conservare riducendoli in polvere col mortaio, passandoli allo staccio e conservando in vaso di vetro o porcellana ermeticamente chiuso. Questa polvere aromatizza squisitamente legumi ed intingoli.
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Conservazione per essiccazione. — Si mondano e tagliati a fette, si sospendono ad un filo e si mettono al sole finchè sono ben secchi, poi si
. — Plinio asserisce che il lauro era segno di pace fra i combattenti (lib. c. 30). Se ne cingevan nei trionfi gl'Imperatori e i Sommi Pontefici, poi se ne cinsero i Sommi Poeti ed, ahimè ! se tornassero tutti quei Sommi e facessero una capatina alle feste di Natale ed in carnevale da noi, che direbbero vedendo il loro lauro intrecciato alle casseruole di cucina e posto sulle teste dei vitelli, dei majali o steso sopra i loro opulenti jambons ?
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. — Plinio asserisce che il lauro era segno di pace fra i combattenti (lib. c. 30). Se ne cingevan nei trionfi gl'Imperatori e i Sommi Pontefici, poi
Si semina in primavera e si colgono i frutti appena maturi perchè non cadano. Nel linguaggio delle piante: Sapienza. Il valore germinativo giunge ai 4 anni. Due varietà principali: la gialla e la rossiccia, questa più saporita. Si conservano per l'inverno in luogo asciutto e prima di usarne, si lasciano macerare in acqua onde si gonfino e diventino tenere. Se ne fa farina ed è molto leggera e buona pei malati. Le lenti si mangiano in minestra, come i fagioli, si mettono cotte negli umidi, accompagnano i salami cotti, specialmente quello di fegato, la mortadella. Se ne fa puree e flan di sapore delizioso. Al tempo antico dovevano essere molto più saporite d'adesso. Esaù le rese celebri cedendo per un piatto di esse la sua primogenitura. Sono di un uso molto antico e generale. Ovidio dà la palma a quelle di Pelusio in Egitto. Ateneo dà il menu d' una cena; con queste parole: mangiammo un piatto di lenti, poi ne venne un altro, poi ce ne servirono di nuovo ben condite in aceto. Allora si servivano le lenti come oggi si fa della patata in Svizzera. Difìlo comico, fa dire ad un suo personaggio: la tavola era pulitamente disposta, noi avevamo ciascuno un piatto ben colmo di lenti. Zenone, il fondatore della setta stoica, dice: essere uno dei caratteri del saggio quello di saper condire bene le lenti. Ecco il suo dogma:
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piatto di lenti, poi ne venne un altro, poi ce ne servirono di nuovo ben condite in aceto. Allora si servivano le lenti come oggi si fa della patata
. Ma alla lente era preparata una gloria assai maggiore di quella di servire di sofà ad un'anitra o ad una salsiccia. L'inglese Warton inventò la famosa Ervalenta (dal suo nome ervum lens) e la fe' passare come un prodotto di pianta forastiera ed il pubblico credenzone correva a pagare 10 lire al chilogrammo la farina di lenti che valeva 20 centesimi. Poi dai Du-Barry disputatisi coi Warton nel 1854 il privilegio di gabbare il mondo, ne venne la Revalenta o Revalescère, la famosa Revalenta arabica che guarisce da tutti i mali. Sottoposta dal Consiglio di Sanità di Londra e dall'illustre Payen di Parigi a coscienziosa analisi risultò composta per la massima parte di farina di lenti scorticate, coll'aggiunta in varie proporzioni di quella di piselli, di melica, sorgo, avena, orzo e una centesima parte di sale di cucina. Pure il Du-Barry continua l'allegro commercio con le più belle trovate di ciarlataneria.
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chilogrammo la farina di lenti che valeva 20 centesimi. Poi dai Du-Barry disputatisi coi Warton nel 1854 il privilegio di gabbare il mondo, ne venne la
Gelatina di limone. — Mettete a gonfiare nell'acqua 20 grammi di colla di pesce per qualche ora, cambiando l'acqua in questo tempo per due volte. Gonfiata mettetela al foco con un bicchiere d'acqua pura e quando è sciolta colatela con pannolino bagnato. Stemperate a parte 350 grammi di zuccaro bianco in un bicchiere d'acqua, mettetelo a foco perchè si fonda in sciroppo e passatelo attraverso un pannolino bagnato. Unite ora la colla allo sciroppo di zuccaro, e messo in uno stampo, aromatizzate il liquido col sugo di un limone e un bicchierino di alkermes, maraschino, kirs o rhum, oppure con sugo di lamponi, fragole o pomi granati passati allo staccio. Lasciate raffreddare la gelatina se d'inverno, o mettetela a gelare se d' estate. Perchè si stacchi con facilità dalle pareti dello stampo, immergete questo nell'acqua calda per un istante. Aggiungendovi un po' d'amaranto liquido, quale si trova dai confetturieri, gli darete color gradevole. Se poi intanto che la gelatina è sul ghiaccio a gelare, la si diguazza con frullino, la si renderà soffice e spumosa come un soufflè.
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trova dai confetturieri, gli darete color gradevole. Se poi intanto che la gelatina è sul ghiaccio a gelare, la si diguazza con frullino, la si
Màndorle alla perlina. — Si sciolgono due parti di zucchero raffinato, in una d'acqua, in una pentola a bascule non stagnata, si fa cocere a consistenza di perla, poi vi si aggiungono tre parti di màndorle dolci spelate; si lasciano così due minuti, poi con spatola di legno si rimescola continuamente finchè lo zuccaro sia perfettamente tosto insieme alle mandorle e loro vi sia ben aderente. Poi si riversano sopra carta e si conservano in recipiente asciutto. Lo zuccaro rimasto nella pentola può servire per un'altra volta.
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consistenza di perla, poi vi si aggiungono tre parti di màndorle dolci spelate; si lasciano così due minuti, poi con spatola di legno si rimescola
Il melagrano è un alberetto originario dall'Africa, a foglia caduca, indigeno in Italia. Viene in piena terra, ma meglio addossato ai muri, ama esposizione soleggiata, calda, difesa dai venti. Teme l'umidità ed il gelo. Si propaga per seme, margotte, talloni. Se ne annoverano dal sapore dei frutti tre varietà, dolce, acido, ed agro dolce. Si coltiva molto in Spagna, dove i frutti vengono grossissimi ed aromatici. Fiorisce in giugno e luglio, si raccolgono i frutti immaturi alla fine di settembre perchè, aspettando più tardi, la corteccia si apre per eccessiva umidità. Il vocabolo punica è da punicus, rosso scarlatto, il colore de' suoi fiori — e granatum dalla quantità dei grani. Onde da noi è detto melagranata, e à dato pure il nome al rosso violetto che si chiama pure granato. Nel linguaggio delle piante significa: Fatuità. Il pomo granato si conserva fresco e sano sino a metà inverno, cogliendolo in giornata serena, ed esponendolo al sole per due giorni. Poi si colloca, involto con carta, in qualche recipiente i cui vani si riempiono con sabbia ben asciutta e se ne tura l'orifizio con bon coperchio. Così conservato acquista anche maggior grado di maturanza. Questo frutto sferoideo, bellicato, è rivestito di scorza coriacea prima verde, poi rosso scuro, che raccoglie in segmenti divisionali semi numerosi, involti in una polpa rosea, pelucida, succosa, gradevole, pochissimo nutriente, ma rinfrescante e salubre.
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, cogliendolo in giornata serena, ed esponendolo al sole per due giorni. Poi si colloca, involto con carta, in qualche recipiente i cui vani si
La calunnia sta nell'affibbiare a questo frutto delle proprietà eccitanti che non à mai avuto, e la bugia nel dire che è frutto cattivo. Se anticamente le chiamavano mele matte, in Francia la battezzarono poi con l'epiteto di poma d' amore. Il sapore amarognolo che ad alcuni può dispiacere, si leva cospergendo le fette di melanzana con sale e lasciando che il sugo assorba il sale per qualche ora. Dopo si fanno cocere, e la migliore cucinatura sarà il farle friggere, perchè acquistano il sapore di funghi. Da noi la migliore e la più comune è quella violetta, che è pure ricordata dal Boccaccio, che ne era ghiotto, nell'Amleto. Il nome di Petronciana è derivato dalla sgarbata scilinguatura del volgo di pera insana. La parola volgare di meresgian, si vuole venga da mela di Giano, cioè sacra a Giano.
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anticamente le chiamavano mele matte, in Francia la battezzarono poi con l'epiteto di poma d' amore. Il sapore amarognolo che ad alcuni può dispiacere, si leva
Gli antichi la mettevano nel latte, a impedirne la coagulazione, giova nel vomito e nel singhiozzo, è contro l'itterizia. Si mescolano le foglie colla lattuga e le altre insalate. Ne fanno: l'acqua di menta peperita, l'alcoolato di menta, l'olio essenziale di menta, le pastiglie, i diavolotti, dei quali i più pregiati ed energici, sono gli inglesi. A conservarne le foglie, si colgono prima della fioritura. Ecco l'origine della menta. Proserpina aveva una damigella d'onore che si chiamava Menta ed era figlia di Cocito. Un dopo pranzo, la colse a fare gli occhietti a Plutone, suo legittimo consorte, e presa da giusto risentimento, la tramutò in questa pianticella che à conservato il suo nome. Da allora in poi s'ebbe la menta.
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consorte, e presa da giusto risentimento, la tramutò in questa pianticella che à conservato il suo nome. Da allora in poi s'ebbe la menta.
I Greci chiamavano la nocciola: nux pontica, per essere stata portata, al dir di Plinio, in Asia e in Grecia da Ponto, come pure si chiamava a Roma nux praenestina, perchè, secondo Macrobio, la nocciola abbondava a Preneste, l'attuale Palestrina, su quel di Roma, sì che assediata da Annibale, gli abitanti furono salvati dalla fame dalle nocciole. E dai Latini furono poi dette avellane od abellinae, da Abella, città della Campania, l'attuale Avellino, dove maturavano saporitissime e assai rinomate. I nostri vecchi facevano un certo decotto, colle foglie del nocciolo, che dicevano assai buono contro il morso degli scorpioni. In alcuni luoghi della Francia le nocciole erano buttate via dagli sposi, come oggi da noi i confetti, in segno d'allegria. Morte, vita e miracoli della nocciola si leggono in questi versi barocchi di frate Giromino da Varese:
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abitanti furono salvati dalla fame dalle nocciole. E dai Latini furono poi dette avellane od abellinae, da Abella, città della Campania, l'attuale
Anche Cassiodoro, di poco posteriore, fa menzione dell'olivo del lago di Como. I Greci tennero quest'albero in molta onoranza, principalmente gli Ateniesi che lo avevano consacrato a Minerva. Correva presso loro questa storiella: Allorchè venne fondata Atene, Nettuno e Minerva si disputarono il privilegio di assegnarle il nome. E fu stabilito da tutti gli Dei, riuniti in Parlamento, che quello dei due che creasse li per lì la cosa più bella, dovesse avere quest'onore. Nettuno battè col suo tridente e fece saltar fuori dal bussolotto un bel cavallo, che fu poi il famoso Pegaso. Minerva colla sua lancia fe sortire dalla terra una pianta d'olivo fiorita, e tutti gli Dei, decisero in favore di Minerva. E Minerva chiamò la loro città Atene. Proverbi sull'oliva:
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, dovesse avere quest'onore. Nettuno battè col suo tridente e fece saltar fuori dal bussolotto un bel cavallo, che fu poi il famoso Pegaso. Minerva colla
rossa di patate. Un pasticcio, frittura, fritelline, gateau, formaggio di patate, confetti, biscottini, una crostata, una schiacciata, poi caffè di patate. Gordon, in China, à vissuto molto tempo a sole patate. Dalla sua fermentazione se ne cava un'acquavite nociva, che ubbriaca ed abbrutisce i poveri Irlandesi e gli schiavi dell'America. Colla patata si fa birra. Ridotta a fecola, assurge poi alle maggiori dignità chimiche ed industriali. Diventa siroppo zuccherino, saldo per appretto ai tessuti ed alle lingerie, dà consistenza alla carta di lusso; entra dappertutto, infine, ed ogni giorno che passa segna una nuova applicazione scientifica ed industriale del prezioso tubero.
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rossa di patate. Un pasticcio, frittura, fritelline, gateau, formaggio di patate, confetti, biscottini, una crostata, una schiacciata, poi caffè di
Il pepe, quale lo conosciamo, è il frutto secco, immaturo del piper nigrum, pianta vivace che cresce spontaneamente sulle coste del Malabar, Indostan, Malaca, Ceylan. Nella state à fiori senza calice in grappoli lunghi, bianchi, frutti a foggia di bacche, da principio verdi, poi rossi, e finalmente gialli. Raccolgonsi prima che siano completamente maturi, e vengono essiccati al sole o al foco, ciò che imparte alla superficie della bacca le rugosità ed il colore bruno-nero. Maturi, perdono il loro sapore bruciante. Da noi, il pepe è pianta da serra ed anche potendo allignare nelle nostre parti meridionali, darebbe frutti di nessuna forza. Il suo nome, dal greco pepto, digerire, cocere, che à virtù stomatica, riscaldante. Nel linguaggio delle piante: Rabbia. Fu per molto tempo ritenuto che il pepe bianco fosse una varietà del nero. Ma il pepe bianco non è altro che il pepe nero lasciato maturare, poi fatto macerare per due settimane nell'acqua di mare e di calce, e spogliato, mercè questa macerazione, delle parti esterne del pericarpio, dopo di averlo fatto essiccare, cosi che il suo sapore è meno piccante e meno aromatico, e la sua azione meno attiva. Il migliore pepe bianco è quello di Tellicherry, sulla costa del Malabar, ed il migliore pepe nero deve avere grani sferici, regolari, oscuri, non galeggianti sull'acqua.
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, Malaca, Ceylan. Nella state à fiori senza calice in grappoli lunghi, bianchi, frutti a foggia di bacche, da principio verdi, poi rossi, e finalmente
Torta di pera. — Untate con burro una fortiera spolverizzata con pane di mistura grattugiato. Disponete sul fondo un suolo di fette di pera crude, spargetele di zuccaro, poi copritele con un suolo dello stesso pane grattugiato e seminatevi qua e là dei pezzetti di burro. Sopra questo suolo stendete un altro
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, spargetele di zuccaro, poi copritele con un suolo dello stesso pane grattugiato e seminatevi qua e là dei pezzetti di burro. Sopra questo suolo stendete
Modo di conservare le pera. — Scegliete sull'albero le più belle e tagliate loro il gambo colla forbice più alto che potete. Indi fate cadere sul taglio del gambo una goccia di ceralacca e annodate intorno ad esso gambo uno spago a cappio, per appendere poi le pere. Pigliate tanti fogli di carta bianca consistente quante sono le pera che volete conservare. Ravvolgete e chiudete con gomma ciascun foglio, in guisa da farne tanti cartocci, a cui lascerete un piccolo buco sulla punta. Introducete lo spago d'ogni pera nel buco di un cartoccio, in modo che esse rimangano entro i detti cartocci. E finalmente chiudete così la punta come la bocca di ciascun cartoccio incerando, in modo che non possa penetrarvi l'aria. Così preparate, appendete la pera, per il loro spago, a tanti chiodi e le conserverete per molto tempo, se le terrete in luogo asciutto e temperato.
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taglio del gambo una goccia di ceralacca e annodate intorno ad esso gambo uno spago a cappio, per appendere poi le pere. Pigliate tanti fogli di carta
I Greci, fatta astrazione di Dioscoride, che la chiama frutto salubre, la tenevano come nociva, quasi velenosa. Plinio la dichiarò salubre ed innocua e ne insegnò a spremerne il succo nel vino. Si disse che la pesca fosse venefica in Persia, e che dal re Ciro trasportata in Egitto, poi passata in Europa, abbia qui perduto il suo veleno. Plinio (lib. XV, sez. 13) lo nega. Falsum est, ecc. Plutarco asserisce che la pesca in Egitto era dedicata ad Iside, per essere il frutto somigliante al cuore umano e le sue foglie simili alla lingua. Alcuni vecchi scrittori medici ordinarono di mangiare i persici prima d'ogni altro cibo e dicono:
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e ne insegnò a spremerne il succo nel vino. Si disse che la pesca fosse venefica in Persia, e che dal re Ciro trasportata in Egitto, poi passata in
. I Greci poi raccontano del pomo cose orribili. Giove unì in nozze un bel giorno la dea dei mari, Teti, con Peleo, dal quale matrimonio nacque poi il bollente Achille. Quelle nozze furono celebrate con gran pompa e alla presenza di tutto l'olimpo au complet. Tutte le divinità infernali, aquatiche e terrestri ebbero, non solo il fairepart, ma ufficiale invito d'intervenire. Una dea sola fu esclusa: la dea Discordia. E questa, per vendicarsi, al momento dei brindisi, comparve nella sala del banchetto e buttò sulla tavola un bellissimo pomo, dicendo: «Alla più bella di voi,» e sparì. Giunone, Pallade e Venere, ch'erano difatti le più belle, si guardarono per traverso, e ognuna di loro pretendeva quel pomo. Giove, che in quel giorno non voleva seccature, mandò a chiamare Paride, un bel giovinotto, e lo fece arbitro della bellezza di quelle concorrenti. Tutte e tre fecero gli occhietti a quel giovinotto, ma egli consegnò il pomo a Venere, lasciando le altre due con tanto di naso. Venere ebbe il pomo, ma Giunone e Pallade lo conciarono poi per le feste, e tanto fecero che andò a finir male. Rubò Elena, fu assediato e vinto a Troja, e ferito da Pirro, andò a morire sul monte Ida. Tutto, per quel pomo che dappoi fu chiamato il pomo della Discordia. Nè qui finisce la storia di quel pomo. Venere, in quel giorno, almeno per galanteria, doveva cederlo a Teti, che sedeva in capo tavola, sposa festeggiata, ma fe' la sorda e se lo mise in saccoccia. Naturalmente Teti l'ebbe a male alla sua volta, e se la legò anche essa al dito. Avvenne che Venere discese un giorno sulle rive delle Gallie a raccogliere perle e un tritone le rubò il pomo che aveva deposto su di un sasso, e lo portò a Teti. Questa lo prese, lo mangiò e buttò i semi in quella campagna a perpetuare il ricordo della sua vendetta e del suo trionfo. Ecco perchè, dicono i Galli-celti, sono tante mele nel nostro paese, e perchè le nostre fanciulle sono così belle! Questa seconda parte l'aggiunge Bernardin de S. Pierre, magnificando le bellissime mele della Normandia. Al pomo i nostri fratelli svizzeri attaccano la storiella di Guglielmo Tell, e al pomo che cadde sul naso a Newton, mentre riposava in giardino, dobbiamo la scoperta dell'attrazione. La quale attrazione, del pomo, era già scoperta migliaia d'anni fa da Eva. Ed è per questa attrazione che il re Wadislao di Polonia fuggiva e cadeva in deliquio alla vista di un pomo. Il nostro popolo, prende il pomo come il tipo della rotondità (rotond come un pomm) della somiglianza (vess un pomm tajaa in duu), del vino fatto colle mani (vin de pomm), della paura (pomm-pomm), degli avvenimenti necessari (el pomm quand l'è madur, bisogna ch' el croda); infine dell'arma più pacifica per sbarazzarsi da un seccatore (fa córr a pomm). Proverbi sul pomo:
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. I Greci poi raccontano del pomo cose orribili. Giove unì in nozze un bel giorno la dea dei mari, Teti, con Peleo, dal quale matrimonio nacque poi
Charlotte di poma. — Pelate le poma, levatene il torso (caruspi) e lasciatele cocere con vino bianco, un pezzo di burro, zuccaro (sulla dose di un terzo del peso dei frutti) e pezzi di cedrato candito. Quando le poma cominciano ad asciugare, toglietele dal foco. Ungete intanto uno stampo, spolverizzandolo di zuccaro, tappezzatene il fondo e le pareti, con pezzi di mollica di pane francese, della grossezza di uno scudo, che avrete bagnato nel burro fuso, versatevi in mezzo le poma, copritele con altre simili fette di pane e fate cocere al forno o col testo. Se le poma fossero troppo cotte e tendessero a squagliarsi, prima di asciugare levatele dal loro giulebbe e collocatele nello stampo già disposto, poi concentrato, a foco vivo, il giulebbe da solo, versatelo sui frutti. Così ridotti a giulebbe, potrete servirli anche colla crostata. Sbattete a quest'uopo tre chiara d'ova in fiocca densa con tre cucchiai di zuccaro bianchissimo in polvere, stendete questa fiocca sulle poma in giulebbe e fatele prendere un color nocciola, coprendola per qualche istante con testo caldo.
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tendessero a squagliarsi, prima di asciugare levatele dal loro giulebbe e collocatele nello stampo già disposto, poi concentrato, a foco vivo, il
Salsa pomodoro per pasta, piatti in umido e frittate. — Fate friggere in una casseruola un sedano, una carota a fette, del prezzemolo, una foglia di lauro, con 60 grammi di burro. Aggiungetevi quindi 9 ottogrammi pomodoro fatti in pezzi, condite con sale e pepe. Lasciate bollire finchè la salsa sia densa, poi passatela allo staccio e allungatela con brodo.
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densa, poi passatela allo staccio e allungatela con brodo.
Modo di conservare i poponi. — Togliete dei poponi tardivi che non sono giunti a perfetta maturità, asciugateli leggermente con un pannolino, e lasciateli stare per un giorno o due in luogo asciutto. Poi mettete della cenere stacciata in un barile ben netto. Collocatevi i poponi e copriteli con altra cenere, in modo che tutti ne rimangano perfettamente coperti. Avvertite però di non porre il barile in luogo esposto al gelo. Cosi condizionati, si conservano sino al dicembre ed al gennaio.
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lasciateli stare per un giorno o due in luogo asciutto. Poi mettete della cenere stacciata in un barile ben netto. Collocatevi i poponi e copriteli con
Riso in cagnoni. — Fate cocere il riso nell'aqua salata e poi levatelo asciutto dall'aqua. Preparate intanto quattro acciughe, ridotte in pasta con poca cipolla, fate tostare con burro ed olio d'olivo. Indi unite il riso rimestandolo bene e conditelo con sale, pepe e noce moscata e bon formaggio trito di grana.
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Riso in cagnoni. — Fate cocere il riso nell'aqua salata e poi levatelo asciutto dall'aqua. Preparate intanto quattro acciughe, ridotte in pasta con
Salsa di senape. — Stendete in un tondo 27 grammi di senape in polvere finissima, con due pizzichi di sale fino — versatevi sopra mezzo bicchiere di bon aceto, stemperate bene il tutto con un cucchiaio di legno, lasciate fermentare per 24 ore, poi raccoglietela in una salsiera da mettere in tavola.
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bon aceto, stemperate bene il tutto con un cucchiaio di legno, lasciate fermentare per 24 ore, poi raccoglietela in una salsiera da mettere in tavola.
ed asciutti ed in terreni poco profondi. Il sesamo non reggerebbe nei paesi montuosi anche per i venti. Vuolsi originario dell'Asia Minore, e precisamente dalla Paflagonia, dove esisteva pure la città di Sesamon, chiamata poi Amastris, della quale parla Plinio. In Bologna se ne sono fatte molte esperienze, notate nel Giornale d'Italia di scienze naturali. Coi suoi semi, in Egitto, se ne fa una minestra saporita. In Sicilia lo si metteva nel pane. Oggi ancora si mangiano arrostiti e cotti come quelli del riso e dell'orzo, e macinati forniscono una farina grossolana, ma di cui i pasticcieri si servono assai. Era conosciuto il sesamo in Oriente sino dai tempi più remoti. Da Plinio fu messo il sesemo fra i cereali, da Columella fra i legumi, da Teofrasto fra i grani che non ànno nome. Ateneo, nel libro XVI, dice che i Greci lo mangiavano torrefatto col miele. Galeno, che lo si metteva nel pane, ma che era di sua natura calido. In Egitto i semi del sesamo servono a preparare una pasta biancastra che si usa per mantenere la freschezza e la bellezza della pelle.
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precisamente dalla Paflagonia, dove esisteva pure la città di Sesamon, chiamata poi Amastris, della quale parla Plinio. In Bologna se ne sono fatte molte
Spinacci alla panna. — Cocete una libbra di spinacci, spremeteli fortemente, triturateli colla mezzaluna e passateli allo staccio. Mettete in una casserola un pezzo di burro, un pizzico di farina, e lasciate friggere un istante, poi gettatevi gli spinacci e conditeli con sale e pepe. Rimestateli bene per cinque minuti e bagnateli quindi con due bicchieri di panna. Consumata la panna, incorporatevi dentro in fretta tanto quanto una noce di burro, e servite questa purèe sulle fette di pane fritto con burro. In tal modo si può preparare la purèe di piselli, di taccole (gaglioli) e di cornetti (fagioletti in erba).
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casserola un pezzo di burro, un pizzico di farina, e lasciate friggere un istante, poi gettatevi gli spinacci e conditeli con sale e pepe. Rimestateli
Torta di spinacci. (Mil.: scarpazza). — Alessati, spremuti e ben triturati gli spinacci, struggete a lento fuoco in una casserola un pezzo di burro con un pizzico di farina, unitevi gli spinacci e rimestateli per cinque minuti. Indi versatevi dentro un pantrito di latte in quantità tale che la torta non resti nè troppo densa nè troppo liquida, e continuate a rimestarla finchè bolla, poi tolta dal fuoco mettetevi qualche mandorla amara pesta, un po' di formaggio grattugiato, canella in polvere, tre uova intere e sbattute, per ogni bicchiere di latte già messo. Bene incorporato il tutto, distendetela in una fortiera unta di burro e spolverizzata di pane grattugiato. Cocete cosi la torta dopo di avervi sparsi sopra dei pinocchi, con fuoco sotto e sopra. Così preparate le torte di cardi, coste e carote.
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torta non resti nè troppo densa nè troppo liquida, e continuate a rimestarla finchè bolla, poi tolta dal fuoco mettetevi qualche mandorla amara pesta, un
rinverdire per un'ora. Cocete poi le susine in un bicchiere di vino rosso con 200 grammi di zuccaro, canella e qualche chiodo di garofano e una scorzetta gialla di limone; quando appariranno cotte e gonfie, toglietele dal loro sugo, e disponetele asciutte sul piatto. Concentrate a parte il sugo finchè assuma la consistenza del giulebbe e versatelo sulle susine.
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rinverdire per un'ora. Cocete poi le susine in un bicchiere di vino rosso con 200 grammi di zuccaro, canella e qualche chiodo di garofano e una
Si conservano pure a lungo nella loro terra natale, coprendoli di sabbia od argilla ben secca e polverizzata di modo che non abbiano a toccarsi. Si chiudono poi in vasi impermeabili. Facendoli seccare perdono gran parte del loro profumo.
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chiudono poi in vasi impermeabili. Facendoli seccare perdono gran parte del loro profumo.
Aceto aromatizzato da tavola. — 1.° Dragone 100 grammi — grani verdi di nasturzio 10 grammi — cipolla 10 grammi — pepe in grana 4 grammi — fiori di sambuco 4 grammi — cerfoglio 4 grammi — basilico 4 grammi — timo 1 gramma — foglie di lauro 1 gramma — mettete tutto in quattro litri di bon aceto. Lasciate macerare per un mese agitando — poi filtrate e conservate.
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. Lasciate macerare per un mese agitando — poi filtrate e conservate.
L'uva di mattina chi ne mangia un graspo ne e... un tino. È triste consiglio, mangiar la madre e poi bere il figlio. Per Santa Giustina (7 ottobre) l'uva è tutta balsamina.
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L'uva di mattina chi ne mangia un graspo ne e... un tino. È triste consiglio, mangiar la madre e poi bere il figlio. Per Santa Giustina (7 ottobre) l
Frittura di zucche. — Tolta la pelle al collo di una zucca gialla, detta di Gerusalemme, tagliatene la polpa in pezzi grossi un dito, e fateli cocere lentamente in latte tanto che basti, con una presa di sale. Quando la zucca avrà attirato quasi tutto il latte, asciugatene i pezzi, avvolgeteli nel tuorlo d'ovo sbattuto, poi nel pane grattugiato, lasciateli friggere prestamente nel burro e serviteli spolverizzati di zuccaro. Badate che i pezzi di zucca non si disfino.
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tuorlo d'ovo sbattuto, poi nel pane grattugiato, lasciateli friggere prestamente nel burro e serviteli spolverizzati di zuccaro. Badate che i pezzi di
sì che l'aqua ne esca tutta, e involgetele nella seguente pastina. Sciogliete a fuoco lento un pezzo di burro, unitevi fior di farina, bagnate la pasta con del latte, mettetevi sale e raschiatura di scorza di limone, poi, togliendola dal fuoco, incorporatevi tre tuorla d'ova e tre' chiara alla fiocca, e fate che la pasta riesca liquida anzichè no. Involgetevi i fili di zucca, friggeteli con burro, strutto, o meglio coli' olio bollente e serviteli collo zuccaro.
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pasta con del latte, mettetevi sale e raschiatura di scorza di limone, poi, togliendola dal fuoco, incorporatevi tre tuorla d'ova e tre' chiara alla
Per fare 15 chili di sciroppo vergine. — Mettete in un bacino 10 chili di zuccaro con 4 litri d'aqua, mescolate e mettete a foco. In una catinella mettete intanto il bianco di 2 ova, con 1 litro d' aqua, sbattete aqua e bianco d' ova, e quando lo zuccaro comincia a bollire, versate quest'aqua, poco alla volta, indi, collo schiumatolo togliete tutte le materie che vengono alla superfìcie. Quando la schiuma è bianca, l'operazione è finita: passate al panno lo sciroppo mentre è bollentissimo e conservate per gli usi. Fatto così, gli si uniscono poi i gusti dei frutti, colle necessarie cotture per ottenere conserve.
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al panno lo sciroppo mentre è bollentissimo e conservate per gli usi. Fatto così, gli si uniscono poi i gusti dei frutti, colle necessarie cotture
ogni sorta di gusti, mettendo qualche goccia d'essenza nella quantità voluta di sciroppo cotto in tale maniera. Più di cosi lo zuccaro non si può cocere, perchè non contiene più aqua e cocendo si à lo zuccaro bruciato, poi diventa nero e si carbonizza.
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cocere, perchè non contiene più aqua e cocendo si à lo zuccaro bruciato, poi diventa nero e si carbonizza.
(1) Domenico Barbaja garzone e giovane di caffè a Milano, poi appaltatore del S. Carlo a Napoli, al quale s'era rivolto il Rossini nel 1815, sposava Isabella Angela Colbrand, prima donna del S. Carlo, nel 1822. Era curiosissimo tipo d'impresario. Rossini scrisse in venti giorni l'Otello pel S. Carlo nell'estate 1816. Il Barbaja aveva un palazzo a Napoli, detto dal suo nome palazzo Barbaja, ed ivi, rinchiuse il Rossini per scrivervi l'ouverture dell'Otello. Rossini dice che gli somministrava un sol piatto di maccheroni al giorno. (Notizie di Bleze de Burij).
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(1) Domenico Barbaja garzone e giovane di caffè a Milano, poi appaltatore del S. Carlo a Napoli, al quale s'era rivolto il Rossini nel 1815, sposava